Venerdì 21 Marzo, poco prima delle nove, la piazza era già piena di studenti. C’era un brusio continuo, un misto di voci entusiaste e sguardi attenti. Alcuni chiacchieravano tra loro, altri si guardavano intorno, cercando di coglierel’atmosfera di questa giornata che sapevamo sarebbe stata diversa dalle altre. Non eravamo lì per una semplice passeggiata, ma per prendere parte a qualcosa di più grande: una marcia per la legalità, per ricordare le vittime innocenti delle mafie e ribadire che il futuro ci riguarda e che il cambiamento dipende anche da noi.

Il Furgoncino di Libera: il cuore della manifestazione

Al centro della piazza c’era un furgoncino bianco con la scritta Libera. Non sembrava nulla di speciale a prima vista, eppure aveva un’energia tutta sua. Non era solo un veicolo, ma il fulcro di tutto: da lì sarebbero partite le voci che avrebbero dato senso alla nostra marcia, le parole di chi lotta ogni giorno contro la criminalità organizzata, la musica che ci avrebbe accompagnato lungo il percorso.

Quando il corteo ha iniziato a muoversi, il furgoncino ci guidava come punto di riferimento. Dietro di lui, centinaia di ragazzi con gli occhi fissi avanti, consapevoli di essere parte di qualcosa di importante. Ogni tanto qualcuno si fermava istante a scattare una foto, quasi a voler fissare per sempre quel momento.

Le Bandiere: un impegno da portare avanti

Prima di partire, ci hanno distribuito le bandiere di Libera. Erano colorate, leggere tra le mani, ma avevano un peso simbolico enorme. Sventolarle non era un gesto casuale, significava prendere posizione, dire ad alta voce da che parte stavamo.

Riceverne una, piegarla, stringerla mentre il corteo prendeva forma, ci ha fatto sentire parte di un movimento vero, concreto. Mentre le sventolavamo, i colori si mescolavano tra loro, creando un’unica onda di speranza e resistenza.

Un aereo sopra di noi: un segno inatteso

Ad un certo punto, mentre camminavamo tra le vie del centro, abbiamo alzato lo sguardo e abbiamo visto un aereo sorvolare la manifestazione.

Forse era solo una coincidenza, ma sembrava quasi un segno. Per un attimo, molti di noi si sono fermati a guardarlo, come se volessimo dargli un significato. Ed era inevitabile pensarci: la lotta contro la mafia richiede uno sguardo vigile, la capacità di guardare le cose dall’alto, senza mai abbassare la guardia.

Nel suo silenzioso passaggio sopra di noi, sembrava ricordarci questo: continuate a guardare, a osservare, a non farvi ingannare dalle apparenze.

Discorsi e musica: parole che restano dentro

Dal furgoncino, a intervalli regolari, partivano discorsi e musica.

Le voci al microfono non erano fredde o distaccate, ma piene di emozione. Leggevano slogan, frasi e ogni volta si creava un silenzio denso, quasi tangibile. Era impossibile non sentire un brivido lungo la schiena.

Tra i vari interventi, ha parlato anche un ragazzo della nostra scuola, che con il suo discorso ha dato voce alla nostra generazione. Sentire un nostro compagno prendere parola davanti a migliaia di persona ha reso tutto più reale e vicino a noi: la lotta contro le mafie non è qualcosa che riguarda solo il passato, ma anche il nostro presente e futuro.

E poi la musica, Non era solo un sottofondo, ma parte della marcia. Ogni canzone aveva un senso, parlava di resistenza, di giustizia, di speranza. Alcuni cantavano, altri ascoltavano in silenzio. Ma nessuno restava indifferente.

 
 
 
 
 
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Le signore ai balconi: il passato che ci guarda

Mentre il corteo si snodava tra le vie della città, abbiamo notato diverse persone ferme ai lati delle strade. Alcuni curiosi, altri visibilmente commossi. Ma una scena in particolare è rimasta impressa a molti di noi: le signore affacciate ai balconi.

Erano anziane, con i volti segnati dal tempo, e ci guardavano emozionate, mandando un saluto a tutta la folla.

Loro hanno vissuto un’epoca in cui parlare di mafia era pericoloso, in cui certe verità si sussurravano e non si gridavano in piazza. Vedere centinaia di giovani che invece marciavano con orgoglio, che pronunciavano quei nomi senza paura, per loro doveva significare molto.

Sembrava quasi ci affidassero un compito, che ci dicessero, senza parlare: “Andate avanti, non fate l’errore di dimenticare”

Oltre la marcia: e adesso?

Quando il corteo è finito, molti di noi sono rimasti in silenzio. Era come se non volessimo lasciare andare quella sensazione, quella consapevolezza che avevamo respirato per tutta la mattina.

Ma la verità è che quella marcia non finiva lì.

Non è bastato camminare, ascoltare, cantare. Adesso tocca a noi fare in modo che quei passi non restino solo un ricordo, ma diventino azioni concrete.

Abbiamo marciato per ricordare, ma soprattutto per non permettere che tutto questo si ripeta. Perché il cambiamento non avviene solo alle manifestazioni, ma nelle scelte di ogni giorno.

E questa consapevolezza, forse, è la cosa più importante che ci portiamo a casa.

 
 
 
 
 
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