L’Istituto della Enciclopedia Italiana ha designato “femminicidio” come parola dell’anno 2023 nell’ambito della campagna di comunicazione #leparolevalgono, mirante a promuovere un utilizzo accurato e consapevole della lingua.

Come Osservatorio della lingua italiana non ci occupiamo della ricorrenza e della frequenza d’uso della parola femminicidio in termini quantitativi, ma della sua rilevanza dal punto di vista socioculturale: quanto è presente nell’uso comune, in che misura ricorre nella stampa e nella saggistica? Purtroppo, nel 2023 la sua presenza si è fatta più rilevante, fino a configurarsi come una sorta di campanello d’allarme che segnala, sul piano linguistico, l’intensità della discriminazione di genere. (Valeria della Valle, direttrice scientifica, insieme a Giuseppe Patota, del Vocabolario Treccani).

È il triste primato di un vocabolo entrato a far parte del linguaggio comune e mediatico, sostituendo la parola neutra di omicidio e focalizzando l’attenzione sul fatto che questa forma estrema di violenza trova ragion di vivere nell’aggressività misogina e sessista dell’uomo radicata nelle nostre società: si tratta di atti violenti diretti contro una donna in quanto donna.

“Femminicidio” non ci dice soltanto che una donna è stata uccisa, ma ci dice anche perché.

femminicìdio s.m. [comp. del s.f. femmina e –cidio]. – Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica di una donna in quanto tale, espressione di una cultura plurisecolare maschilista e patriarcale che, penetrata nel senso comune anche attraverso la lingua, ha impresso sulla concezione della donna il marchio di una presunta, e sempre infondata, inferiorità e subordinazione rispetto all’uomo. [Dal Vocabolario Treccani on line]

La definizione del Dizionario Treccani rende conto della complessità del fenomeno e di tutte le sfaccettature del concetto di violenza sulla donna: la matrice storica, la violazione dei diritti e delle libertà fondamentali della donna, la discriminazione, l’abuso fisico, sessuale e psicologico e, soprattutto, l’assenza di una formazione adeguata che, come già detto dalla nostra redattrice Erika Nicolosi nel suo articolo del 23 novembre “Il silenzio infranto”, non riesce ancora a determinare un cambio di mentalità sociale, soprattutto in certe zone più periferiche del Paese.

Nel 2023, si sono registrate 120 donne uccise, di cui 97 in contesto familiare o affettivo, secondo le statistiche del Viminale. Tra tutti i casi di femminicidio, quelli di Marisa Leo, avvenuto il 6 settembre, di Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre, hanno particolarmente scosso l’opinione pubblica.

Le notizie che hanno popolato le prime pagine dei giornali nel 2023 fanno comprendere la trasversalità della violenza sulle donne, che attraversa attraversa diverse fasce della società, coinvolgendo donne in molteplici contesti di vita. Non è circoscritta a specifici strati sociali o geografie, ma è diffusa in modo pervasivo.

Ci si rende conto anche di quanto sia complesso reagire in situazioni di violenza. Ovviamente l’autonomia economica, anche se non tiene la donna al sicuro dalla violenza, rappresenta un vantaggio essenziale per sottrarsene e giungere, a volte, alla decisione di lasciare il marito. Inoltre, avere una buona immagine di sé è stato fondamentale, perché più difficile umiliare una donna orgogliosa del suo ruolo.

Più difficile è per una donna senza lavoro e senza sicurezza economica, che dipende materialmente dall’uomo, che minimizza la violenza, che fa fatica a chiedere aiuto e a prendere in considerazione la vergogna di una separazione.

Infine, ci sono le donne straniere, per le quali è tutto ancora più difficile. Limitate da una lingua diversa e spesso impronunciabile, da uno spazio ristretto alle mura di casa, dalla lontananza di una famiglia che spesso è legata a tradizioni antiche di dominio maschile, dall’assenza di amici, da una comunità che giudica e inibisce. Tutto questo lascia la donna straniera nella drammatica situazione di vittima di abusi, spesso fino alla morte.

Vergogna e inconsapevolezza fanno della violenza un male culturale, a cui ormai tutti, anche le nuove generazioni, circondate da violenza fisica, verbale e psicologica, sono purtroppo assuefatte.

Investire in istruzione e conoscenza aiuterebbe a liberare le donne e gli uomini dalla sottocultura della violenza, a essere consapevoli del loro ruolo nella società, libere di esprimere le proprie potenzialità e avere una presenza attiva e produttiva fuori dal contesto familiare. È il momento in cui la vittima cambia la percezione del proprio sé e non si colloca più nella reazione del vittimismo, o si alza dal silenzio dell’omertà.

Il momento di svolta, per tutti, è una presa di coscienza collettiva contro la cultura della violenza.

Possa essere “rispetto” la parola scelta da Treccani per il 2024.

Di Elena Alcamesi

Instancabile editore responsabile del giornalino Thunder, la prof. Elena Alcamesi è un mix esplosivo di creatività incontenibile e "tu fai questo tu fai quest'altro tu sbrigati com'è finita?". Famosa per le sue idee bizzarre e perennemente innovative, spunta ogni giorno con qualcosa di nuovo e stravagante da fare per il giornalino. Schiavista implacabile, la prof. non conosce orari, e chi lavora per il Thunder lo fa a suo rischio e pericolo.

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