Altare di San Giuseppe, Pro Loco, Campobello di Mazara (TP)

Sommario

Scopo di questo articolo è quello di analizzare, da un punto di vista antropologico, l’allestimento delle tavole votive dedicate a San Giuseppe con particolare attenzione alla tradizione del mio paese: Campobello di Mazara.

Una lettura attenta vi aiuterà a riconoscere alcune costanti rituali riscontrabili tra le diverse tradizioni e comunità in cui l’altare viene allestito, non solo a Campobello ma anche in diversi centri del valle del Belìce: da Salaparuta a Gibellina.

Buona lettura!

L’altare di San Giuseppe in Sicilia

«Dei Santi il più carezzato Patrono è san Giuseppe che occupa 13 comuni» scriveva più di un secolo fa Giuseppe Pitrè a proposito delle feste patronali in Sicilia, aggiungendo che Il culto per il Patriarca non si limita alle feste patronali, ma si estende ad altre manifestazioni del panorama festivo siciliano: l’altare di san Giuseppe rappresenta una delle più importanti espressioni.

In Sicilia, gli altari e le mense imbandite per il Patriarca si concentrano in due periodi: marzo-maggio e fine agosto-settembre con la significativa sospensione dei mesi estivi. Scrive F. Giallombardo che il momento primaverile e quello autunnale costituiscono due fasi fondamentali del ciclo agronomico: da un lato durante la primavera la natura dopo i rigori dell’inverno si risveglia e va aiutata nell’esplosione della sua energia vitale, dall’altro durante l’autunno, la natura deve prepararsi all’austerità dell’inverno e va ulteriormente protetta.

A Campobello le fasi che si delineano durante l’allestimento di un altare  votivo in onore del Santo sono tre: l’evento, la supplica e l’offerta .

La devota, attraverso l’altare, testimonia alla comunità di aver ricevuto la razia (una grazia) riconoscendo a San Giuseppe la capacità di agire e risolvere le disgrazie della vita terrena. Il Suo intervento in questa vita piena di incertezze e di paure ci tranquillizza facendoci affrontare la caducità del tempo quotidiano con più serenità e coraggio fino alla prossima scadenza calendariale, fino al prossimo passaggio critico del ciclo stagionale. In questo senso devozione, protezione e dipendenza hanno la stessa origine: il Santo. 

Credo, quindi, che se da un lato la promessa della devota testimonia il potere del Santo invocato, dall’altro denuncia la debolezza, la fragilità, la precarietà dell’uomo, il quale reagisce al “negativo” del tempo quotidiano con la forza neutralizzante del tempo sacro. 

Superato questo intimo e familiare rapporto con il Santo, in cui non occorrono né intermediari né luoghi ufficiali di culto, si passa ad una dimensione più comunitaria. Tutti vogliono dare il proprio contributo. La comunità si stringe intorno al devoto attuando un processo di socializzazione dei suoi bisogni e come afferma Lévi-Strauss «l’individuo isolato dalla società non può agire simbolicamente, appartiene infatti alla società esprimersi simbolicamente nelle sue usanze e nelle sue istituzioni». 

Il processo di allestimento

L’altare di san Giuseppe a Campobello di Mazara, si svolge il 19 di  marzo, ma è lecito celebrarlo sino al giorno di Pasqua. La devota, circa un mese prima, con l’aiuto di 2 o 3 persone esperte prepara in casa sua e di solito nella stanza più ampia e luminosa un altare addossato ad una parete.

Per la preparazione dell’altare, il primo passo è quello di costruire l’impalcatura.

Questo compito spetta generalmente agli uomini. Si crea una struttura simmetrica posizionando quattro assi di legno nei quattro angoli della stanza, ricoprendo la struttura con carta da cucina. Sulla struttura formatasi si fissano, con delle spille da balia, le coperte che la tradizione campobellese vuole di ciniglia. In alcuni casi la ricerca delle coperte dura più di un anno, a testimonianza del fatto che le devote curano l’intera organizzazione dell’altare nei minimi particolari. 

Allestimento altare a Gibellina (FIDAPA sez. Gibellina)

A Campobello, allestite le “pareti”,  si passa al tetto: utilizzando i veli di sposa, inseriti nelle travi dell’impalcatura a tràsiri e nèsciri, si forma una tenda araba dall’effetto visivo notevole. Anticamente si usava la mùssula, tessuto malleabile simile al cotone che bene si prestava ad essere modellato. Dal lampadario, affisso al tetto, pendono collane, anelli, braccialetti d’oro, donati da parenti ed amici o questuati dalla devota. Essi simboleggiano per i devoti la luce, il sole. 

Altare a Campobello di Mazara (Pro Loco) – dettaglio del tetto

L’abbellimento dell’altare procede cu li fazzolettini di li cunfetti, e con piccoli mazzi di fiorellini fissati alle “pareti” e sul tetto. Ciò che non deve mai mancare nell’altare è un quadro raffigurante la Sacra Famiglia, sovrastato da una stella o da una semiluna.

A Campobello è consuetudine invitare al proprio altare oltre alla Madonna a san Giuseppe e a Gesù Bambino anche lu Santu Patri di li Pirreri (San Francesco da Paola). Come scrive F. Giallombardo in Festa, orgia e società: «i bambini che rappresentano la Sacra Famiglia esprimono tutte le minacce legate alla loro mancanza di status sociale. La comunità si fa garante della loro crescita e attraverso il rito assolve alla funzione di riscattare le discriminazioni sociali per ripristinare il tempo mitico dell’eguaglianza e della coesione sociale, messe in crisi nel tempo profano. 

Lo sconvolgimento dei ruoli si iscrive proprio in questa dimensione: la donna diventa assoluta protagonista durante il tempo festivo, il padrone di casa serve i poveri.

A Campobello l’altare vero e proprio è formato da tre o quattro assi di legno a formare altrettanti gradini su cui si stendono tovaglie bianche. Sull’altare verranno sistemate bottiglie di acqua colorata, il pane, una statua raffigurante lu Bommineddu, una fetta di anguria, frammista a limoni ed arance, dei rami di bbàlacu (violaciocche), di fresia, un contenitore con un pesce rosso: (già dal primo secolo i Cristiani fecero un acrostico della parola pesce. In greco “ἰχθύς”: Iesous Christhos Theou Yois Soter- ΙΧΘΥΣ- tradotto è: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore).

Altare a Campobello di Mazara (Pro Loco)

Il modello figurativo dell’altare, pur nel variare di alcuni elementi dall’uno all’altro, si presenta uniforme e simmetrico anche in altri comuni del Belìce. Sulla tavola votiva e sui gradini dell’altare si posizionano: una bottiglia di acqua, una di vino, mazzolino di fresia. La presenza dei semi, delle fave della fetta di anguria posta sui gradini dell’altare veicola il significato di rigenerazione e quindi di nuova vita che si apre con l’imminente arrivo della Primavera.

Qualche giorno prima del 19 di marzo, si segnala alla comunità la presenza dell’altare attraverso rami di palma, fissati negli angoli della strada, e decorati con limoni ed arance.

Salemi

Quando gli altari del paese sono ormai allestiti, nel paese si rincorrono le voci su quale sia il più bello, lu chiù pumpusu. La competizione e l’ostentazione segnano profondamente questa fase. Diventa una gara anche tra quelle poche persone hanno l’esperienza e la capacità per allestire l’altare. Non poche sono state in tal senso le testimonianze raccolte.

Il pane

Elemento essenziale della tavola è il pane.

Pani di varia forma richiamano gli attrezzi del mestiere di falegname di Giuseppe: lu marteddula scalala tinagghia, lu chiovu ed altri antropomorfi e fitomorfi: la varva richiama San Giuseppe, la parma, la Madonna. Vi sono anche pani a forma di uccelli, di uva: l’universo viene rappresentato in toto.

Altare fam. Gaudino (Salemi)

Li cucciddati, dal peso di 4-5 chili verranno offerti ai santi cioè a coloro che rappresentano la Sacra Famiglia, sono effigiati da rose, simbolo per eccellenza del femminino e della riproduzione. 

Questi pani raffigurano lu munnu, come mi conferma il mastro panettiere Russo.

In alcuni altari è possibile vedere i lavuri (giardini di Adone), cioè frumento germogliato al buio. Dopo la rigidità dell’inverno, la natura rinasce con la primavera e li lavuri ne rappresentano l’emblema. La pratica di seminare il grano in piccoli vasetti e farli germogliare ha la finalità di favorire la crescita della vegetazione attraverso l’imitazione.

Altare di San Giuseppe. Salus Gibellina

Molteplici sono i casi, non solo in Europa, in cui le popolazioni antiche, attraverso la ritualizzazione delle loro azioni, propiziavano l’intervento della dea del grano Demetra detta anche Madre del grano, Vergine del grano o Vecchia del grano per garantire un’annata ricca e abbondante. Si credeva, infatti, che la dea vivesse nel grano e che quindi l’ultima spiga dovesse essere conservata in casa o bruciata e le ceneri sparse per i campi, evidentemente per fertilizzarli. La presenza dei lavuri negli altari dedicati al Patriarca ha la stessa funzione: chiedere abbondanza e prosperità per la comunità attraverso la rinascita della natura e del grano. L’identificazione della donna con il grano è chiaramente leggibile in tal senso.

La donna, come precedentemente accennato, è la protagonista indiscussa dell’altare. Scrive F. Giallombardo che la donna durante la questua si fa pellegrina, mendicante, fuori dai confini della sua strada e del suo quartiere mortificando la sua identità sociale. La donna nella sua richiesta itinerante di cibo o denaro, occulta la propria identità, le sue azioni rituali la trasportano in una realtà altra. Scrive altrove la stessa autrice: «assenti tradizionalmente dalla scena istituzionale, le donne si ostentano in quella rituale nel loro statuto essenziale: come garanti della continuità del gruppo, e nutrici per eccellenza». Ciò sottolinea il predominante ruolo simbolico della donna che rovescia la divisione dei ruoli socialmente accettati.

Il cibo rituale assegna alla donna un ruolo dominante.

La questua

La raccolta itinerante a Campobello di Mazara è svolta dalla padrona di casa, circa un mese prima dalla festa. È lei infatti che, con l’aiuto di qualche amica o parente, bussa alle porte del vicinato chiedendo denaro o cibo: “Cci dati nenti a San Giseppi”? Questa operazione detta addumannàri pi San Giuseppi (chiedere per san Giuseppe) ottiene quasi sempre una risposta positiva da parte della cittadinanza, confermando la partecipazione della comunità alla realizzazione della promessa della devota e l’affetto profondo nei confronti di san Giuseppe.

La raccolta e la redistribuzione dei beni raccolti evidenzia l’importanza dello scambio tra i membri di una collettività. Il denaro e il cibo raccolto (olio d’oliva, vino, pasta, latte…) saranno distribuiti, alla fine della giornata in parti uguali, ai Santi, cioè a coloro che impersonano la Sacra Famiglia. La questua, eseguita dalla donna, la rende perno centrale dell’intera preparazione dell’altare di san Giuseppe, riconoscendole capacità organizzative e qualità relazionali non comuni (F. Giallombardo, Festa orgia e società). Fin da questo momento è da notare l’importanza delle relazioni che si tessono tra la comunità e la devota.

L’abbondanza

La complessità organizzativa dell’altare non si esaurisce con la questua, bisogna preparare le 101 pietanze che la tradizione impone. L’abbondanza alimentare è elemento fondante di molte feste patronali e non. Ciò che conta è mostrare l’abbondanza del cibo, il “mangiarlo” è un fatto del tutto secondario. La ricchezza commestibile, come quella fondata sugli oggetti preziosi, non trova la sua realizzazione, il suo scopo nel possederli, ma nell’ostentarli nel farli vedere (Giallombardo, Accumulare, ostentare, distribuire. Preliminari na un’antropologia ricchezza)

Anche i dolci vengono preparati dalle donne. Sporadici sono i casi in cui si ricorre al pasticcere.

Questa fase dell’altare, svolgendosi in un ambiente domestico e privato, riconosce, ancora una volta, alla padrona di casa il ruolo di assoluta protagonista.

Il numero dei piatti deve essere pari a quello dei santi e per tanto si devono allestire 404 portate. Li frosci di carcòcciuli, di favi, di spàrasci, di finucchieddu, di sparasceddu, di bròcculi, tutto amalgamato con uovaAncora ova ncannulata o pisci d’ovu preparati con muddica, formaggiu pecorinu, pipi, sali e pitrusinu.

Sulla tavola votiva è del tutto assente la carne: c’è chi ne giustifica l’assenza riconducendola al periodo di Quaresima, chi la considera simbolo delle classi più ricche e quindi lontana dalla dieta del popolo o chi più semplicemente afferma: “ai tempi di san Giuseppi non si mangiava carne”.

La stanza adiacente a quella dell’altare, lasciata libera per accogliere le pietanze diventa una miscela di sapore colori di cui la padrona di casa è orgogliosa.

L’abbondanza del cibo che agli occhi di molti può sembrare spreco, basti pensare alle 101 pietanze dell’altare di san Giuseppe che, a Campobello di Mazara, hanno valore propiziatorio. Ritualizzando i suoi gesti, la devota spera che la sua tavola sia gradita al Santo e che questi mantenga la stessa abbondanza durante il nuovo ciclo annuale che proprio in quel periodo si apre. L’ostentazione del Il cibo diventa quindi forza di vita e il suo consumo collettivo si iscrive  in una dimensione augurale e propiziatoria.  

La tavola cosi imbandita, ricca di primizie di stagione, sottende alle modalità di scongiurare la caducità del tempo profano, attraverso l’ostentazione di beni alimentari. La devota rifonda un tempo mitico in cui prosperità ed abbondanza sono fruìti collettivamente e, in tal senso, si fa garante della continuità della propria comunità durante i periodi critici di passaggio del ciclo stagionale.

L’accumulazione di beni alimentari precedentemente questuati, l’ostentazione e la distribuzione del cibo accumulato nelle grandi tavole votive, il consumo collettivo dello stesso, continuano a riproporre il senso più profondo dei riti agrari legati all’equinozio di primavera.

Galleria fotografica

Nella galleria fotografica che segue, gli altari di San Giuseppe allestiti quest’anno a Campobello di Mazara, Gibellina, Salaparuta e Salemi.

Campobello di Mazara

Per le foto dell’altare della Pro Loco di Campobello, si ringrazia la prof.ssa Caterina Giorgi. Per le foto della Madonna di Fatima, si ringrazia Giacomo Catalano.

Gibellina

Per le foto degli altari di Gibellina, si ringraziano Mirella Bonanno (l’artaru di lu paisi) e la FIDAPA sezione di Gibellina.

Salaparuta

Per le foto degli altari di Salaparuta, si ringrazia il sig. Michele Saitta.

Salemi

Per le foto degli altari di Salemi, si ringraziano Desiré Lo Castro (A.G.A.), Antonina Bellafiore (Chiesa di San Bartolomeo)

Di prof. Saverio Cudia

Saverio Cudia è docente di Lingua Inglese presso l'Istituto Superiore "Ruggiero D'Altavilla". In questa rubrica, esplora le varie tradizioni culturali siciliane, dalle feste cittadine alle antiche usanze, offrendo agli studenti uno sguardo approfondito sul patrimonio culturale del loro paese e a tutta la comunità scolastica una piacevole lettura.