Un’insegnante di una scuola è stata arrestata con l’accusa di associazione mafiosa. Una notizia che fa notizia per molte testate giornalistiche. Ma Thunder …la nostra voce è un giornalino scritto da studenti e professori. Non ci interessa “fare notizia”. Per noi questa è una notizia che scuote, che confonde, che ferisce. Non solo per la gravità delle accuse, ma per il luogo da cui proviene: la scuola, spazio sacro dell’educazione, della crescita, della fiducia.
C’è chi, di fronte a tutto questo, banalizza. Trasforma la notizia in pettegolezzo da corridoio, in materiale da social, in chiacchiera morbosa. Ma non c’è niente di divertente, niente di leggero, niente da sminuire. Perché “la mafia è una montagna di merda”. Così la definì Peppino Impastato e così continua ad essere. Non un folklore, non una strategia di potere, non una faccenda d’altri tempi. Ma una forza violenta, antidemocratica, che uccide la speranza, inquina i legami, svuota il futuro.
E proprio il futuro è quello che ci deve preoccupare. Perché i ragazzi che oggi frequentano le nostre scuole sono il domani di questo Paese. Sono cittadini in formazione. Ed è per loro che dobbiamo pretendere chiarezza, onestà, esempio. La scuola non può permettersi ambiguità. Deve essere presidio di legalità, non solo a parole, ma nei gesti quotidiani, nei modelli che offre, nei valori che trasmette.
Ma al tempo stesso, siamo chiamati a non dimenticare ciò che siamo come democrazia. L’articolo 27 della nostra Costituzione è chiaro: La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. È un principio fondamentale. Anche quando fa male. Anche quando ci destabilizza. Anche quando tocca luoghi insospettabili.
Questo non significa minimizzare. Significa distinguere. Significa insegnare che la giustizia non è vendetta, ma ricerca di verità. Che la pena, se e quando arriverà, deve tendere alla rieducazione del condannato e non essere tortura mediatica o gogna pubblica.
La scuola oggi ha il dovere di fare un passo in più: parlare con i ragazzi, ascoltare le loro reazioni, spiegare cosa vuol dire mafia, legalità, responsabilità. Mostrare che combattere la mafia non è solo un fatto giudiziario, ma un atto culturale, quotidiano, educativo.
Ci vuole coraggio. Ci vuole coerenza. Ma soprattutto ci vuole fiducia nei ragazzi. Perché loro sono l’unico, vero antidoto alla mafia.