C’è una notizia che ha fatto il giro del mondo, e non perché Parastoo Ahmadi abbia scalato le classifiche musicali (anche se lo meriterebbe). La giovane cantante iraniana è stata finalmente liberata, dopo essere stata arrestata per aver fatto ciò che le riesce meglio: cantare. La sua colpa? Averlo fatto senza indossare l’hijab, una scelta che nel suo Paese può trasformarti da artista a “criminale”.
Parastoo è una cantante iraniana di 23 anni con una voce capace di attraversare confini e abbattere muri. Cresciuta a Teheran, ha sempre usato la sua musica per esprimere libertà e ribellione. Ma cantare in Iran, soprattutto per una donna, non è mai solo cantare. Non ci sono solo le note: c’è il peso delle leggi che ti vogliono silenziosa e coperta.
“Cantare per me è come respirare. Nessuno dovrebbe poterlo vietare”, aveva detto Parastoo in un’intervista prima dell’arresto.
Nel corso del “Karvansara Concert”, Ahmadi non ha seguito le regole previste dalla legge riguardo l’abbigliamento, scegliendo di indossare un lungo abito nero che lasciava le spalle scoperte e mostrava i capelli, sfidando così le norme sulla moralità imposte dal regime.
La legge iraniana obbliga le donne a portare il velo in pubblico e impone rigide limitazioni alla loro libertà d’espressione. Parastoo ha violato entrambe queste regole. Per di più, il video del suo concerto è diventato virale. Due “crimini” in uno.
La sua voce era diventata troppo potente per essere ignorata. A detta delle autorità, “promuoveva comportamenti immorali”. Ma dopo aver ascoltato le sue canzoni, che parlano di amore e speranza, come “Havaye Azadi” oppure “Il tulipano è cresciuto dal sangue dei giovani”, è lecito chiedersi: chi è davvero immorale, chi canta o chi reprime?
Dopo settimane di proteste e pressioni internazionali, Parastoo è tornata libera lo scorso sabato. La notizia è arrivata come una boccata d’aria fresca, soprattutto per i tanti giovani iraniani che vedono in lei un simbolo di resistenza. “Non ci fermeranno tutti. La sua voce è anche la nostra”, ha dichiarato un suo fan su Instagram. E in effetti, Parastoo non è solo una cantante. È diventata il simbolo di un’intera generazione stanca di vivere nell’ombra.
Ironia della sorte, il suo arresto ha portato il suo nome e la sua musica a essere conosciuti in tutto il mondo. Insomma, il regime voleva spegnere la sua voce, ma l’ha amplificata. Bel colpo!
Una domanda che ti potresti fare è: “Ok, ma cosa c’entra tutto questo con noi?” Beh, c’entra eccome. Pensaci: quante volte diamo per scontata la libertà di esprimerci, di vestirci come vogliamo, di cantare in pubblico senza paura? La storia di Parastoo ci ricorda che queste libertà, che a noi sembrano ovvie, in molte parti del mondo sono un lusso per cui c’è chi rischia tutto.
Se una ragazza in Iran ha avuto il coraggio di sfidare un regime con una canzone, allora anche noi possiamo fare qualcosa. Magari non cambieremo il mondo con una strofa, ma possiamo fare sentire la nostra voce.
Parastoo ce lo insegna: una nota può essere più forte di mille silenzi.
E il coraggio? Beh, quello è contagioso.